Abbastanza diffusa nell'opinione pubblica l'idea che è importante intervenire per prevenire le catastrofi che ci attendono in seguito ai cambiamenti climatici. Eppure questi temi non sono ancora entrati tra le priorità di azione della gran parte dei cittadini occidentali. Pertanto se al primo posto degli italiani, per esempio, c'è la quetione del lavoro, poi la sicurezza e solo al quinto o sesto posto la qestione ambientale, è chiaro che il cambiamento delle abitudini che minacciano l'ambiente, non potrà avvenire in maniera generalizzata e incisiva. In cosa stiamo sbagliando allora? Perchè non siamo tutti uniti in questo impegno necessario per la nostra sopravvivenza? Ricordo che prima ancora dei nostri figli ci siamo anche noi a scontare gli effetti della scarsità di acqua potabile, delle alluvioni, del problema dei rifiuti, dell'aumento di cancri e tumori e via dicendo. Perchè non siamo ancora in grado di vestirci delle responsabilità delle nostre azioni su quanto avviene intorno a noi? La rete della complessità e delle interconnessioni esistenti tra azioni quotidiane e conseguenze sul pianeta è sicuramente un limite perchè necessita uno sforzo intellettuale che in ogni caso prescinde dal livello culturale di appartenenza -studi specifici lo dimostrano-. Lo sforzo di cui parlano la filosofa Hannah Arendt ripresa successivamente dal pedagogista Edgar Morin è quello di "essere educati a pensare". Pensare significa imparare a pensare a ciò che ci circonda, a porsi nuove domande su ciò che accade e si trasforma e questo per imparare a cambiare. La scuola dice Morin dovrà "trasmettere non del sapere puro, ma una cultura che permetta di comprendere la nostra condizione e di aiutarci a vivere". Solo se saremo in grado di comprendere questo legame complesso, a porci domande sulle azioni che compiamo e sulla nostra responsabilità, solo se ci sentiremo parte della terra potremo vincere questa sfida per il futuro. |