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Serge Latouche, Per un’abbondanza frugale. Istruzioni per l’uso PDF Stampa E-mail
Scritto da Ilaria D'Aprile   

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Riportiamo l'articolo scritto e pubblicato da Ilaria D'Aprile e Leonardo Favale per il settimanale online ilsudest.it

Sebbene l’ondata di freddo siberiano non abbia risparmiato neppure la Puglia, l’ordinanza comunale che ha imposto la chiusura delle scuole e degli uffici pubblici di Bari non è riuscita a impedire a un pubblico nutrito di partecipare all’incontro del 7 febbraio con Serge Latouche. L’unica delusione è stata veder spostare l’appuntamento dall’Istituto Marco Polo  all’Hotel Excelsior, circostanza che ha modificato i contenuti della lezione e  l’età media della platea, che Latouche sperava costituita soprattutto da giovani, ai quali fornire validi argomenti a difesa della decrescita, per porli in grado di suscitare futuri dibattiti, con l’obiettivo d’ incrinare le certezze dei loro interlocutori e magari convincerli.  In un’aula gremita di curiosi, ammiratori e partigiani della decrescita, lo studioso di antropologia economica ha presentato il suo ultimo libro “Per un’abbondanza frugale” (Bollati Boringhieri) e tenuto una lezione su ”La via della decrescita per uscire dalla crisi”, di cui desideriamo  approfondire qui alcuni punti.

La fine della civiltà della crescita globalizzata, malata della propria ricchezza e della distruzione del proprio ambiente. La fine dell’occidente cui oggi assistiamo è la crisi di una civiltà. Ci troviamo ad una svolta storica: la fine della civiltà della crescita. “Soltanto i pazzi e gli economisti pensano che in un mondo dalle risorse finite sia possibile uno sviluppo infinito”. Una prova della veridicità di queste affermazioni sta nel concetto di impronta ecologica: il peso ambientale del nostro stile di vita tradotto in consumo di spazio bioriproduttivo, (quanta acqua, quanto suolo e quanta energia serve per produrre qualcosa). Ebbene lo spazio della Terra è limitato: 51 miliardi di ettari (ha) che si riducono a 12 ha se si considerano le sole aree bioproduttive. Dividendo questo spazio per il numero degli abitanti della Pianeta otteniamo 1,8 ha a testa. Già oggi, dice Latouche, ciascuno di noi consuma beni naturali che corrispondono allo sfruttamento di 2,2 ha. Con significative differenze: i più spreconi sono gli USA con 9,6 ha, poi viene l’Europa con 4,5 ha . Finora il mondo si è salvato grazie ai paesi poveri: gli africani consumano appena lo spazio di 0,2 %. Ma l’ascesa di Cina India e Brasile, sta facendo saltare gli equilibri, in pratica stiamo usando il Pianeta senza dargli la possibilità di rigenerarsi. Se tutto il mondo consumasse come gli USA, spiega Latouche, avremmo bisogno di 6 pianeti e se è vero che in futuro sarà più semplice produrre le risorse e produrre in modo più efficiente dovremo fare i conti con la crescita demografica: nel 2050 saremo 9 miliardi e allora sarà troppo tardi per correre ai ripari. Pertanto la società della crescita è finita e dobbiamo ripensare quanto prima alla nostre scelte di fondo in materia di consumi, bisogni individuali e collettivi e forme di organizzazione sociale.

La doppia impostura del Rilance. I governi europei  credono di risolvere la crisi economico finanziaria con il Rilance, neologismo coniato orgogliosamente dalla direttrice del FMI Christine Lagarde, formato dall’unione di 2 parole: Rigueur (austerità) e Relance (ripresa della crescita). In primo luogo per i governi in carica lo slogan “sia rilancio, sia austerità” significa il rilancio per il capitale e l’austerità per tutti gli altri. In secondo luogo seguire le politiche dell’austerità significa entrare in una spirale deflazionista senza fine che, se da una parte fa aumentare la disoccupazione, dall’altra riduce la liquidità dei consumatori. Rilanciare l’economia con l’austerità è pertanto impossibile, come dimostra ampiamente ciò che sta accadendo in Grecia. Se il paragone non ci convince, Latouche ricorda che abbiamo già avuto esperienza della spirale deflazionista durante la crisi degli anni ’30. Perché i decisori politici stanno commettendo il medesimo errore di allora? “Perché hanno il terrore di uscire dall’euro”, risponde Latouche, “e per questo ci stanno traghettando verso la catastrofe”.

Come uscire dalla crisi.

- Ripristinando il protezionismo e l’inflazione. Questa crisi non si risolverà se non si esce dal sistema neoliberista e per farlo dobbiamo liberarci di 2 tabù: protezionismo e inflazione. Queste due azioni fanno però inorridire il mondo finanziario. Se è vero che protezionismo e inflazione hanno effetti perversi, sono l’unico modo per evitare la catastrofe di una austerità deflazionista.

- Dichiarando bancarotta. E’ necessario riappropriarci del denaro, che però oggi appartiene alla Banca Europea di Francoforte. Pertanto l’unico modo è quello di dichiarare bancarotta. Infatti Latouche ricorda che il debito italiano equivale al suo PIL e che pertanto non potrà essere mai pagato. Il gioco della civiltà della crescita consiste nel far finta di poter prolungare questo sistema di economia speculativa, continuando a alimentare la spirale speculativa. Che fare allora? “Per i partigiani della decrescita”, aggiunge Latouche, “ripudiare il debito è cosa buona. Diversi sono i paesi che in passato hanno dichiarato bancarotta, come per esempio l’Argentina e l’Islanda e che ciò nonostante hanno continuato a andare avanti.  Se non annulleremo il debito saremo costretti a vivere l’inferno di una società di crescita senza crescita.”

- Riducendo la disoccupazione con l’abbondanza frugale. Occorre uscire dalla religione della crescita, per costruire società dove l’occupazione non dipende più dal tasso di crescita ma dall’abbondanza frugale. Infatti non esiste abbondanza senza frugalità, perché se non poniamo dei limiti ai nostri bisogni non ci sarà mai abbondanza. Una piena occupazione si ottiene rilocalizzando le attività produttive, riconvertendo le industrie, trasformando l’agricoltura convenzionale in biologica e, infine, riducendo l’orario di lavoro.

L’economia postindustriale per una società dell’abbondanza frugale. Latouche svela inoltre  l’ossimoro che dà titolo al libro. Non si può concepire un’abbondanza frugale finché rimaniamo prigionieri dell’immaginario della crescita. Al contrario se riusciamo a sottrarci dalla propaganda consumistica , diventa evidente che la frugalità è una condizione per qualunque forma di abbondanza. Costruire una società di questo tipo significa liberarci della tossicodipendenza del consumismo e utilizzare, come dice Ivan  Illich, “le tecniche e gli strumenti che servono a creare valori d’uso non quantificabili dai fabbricanti professionali dei bisogni”. Significa accrescere non più il PIL (Prodotto Interno Lordo) ma il BIL (Benessere Interno Lordo), che alcuni paesi poveri come il Costa Rica possiedono in quantità elevata. A chi pensa che Latouche voglia portarci alla “età della candela”, egli risponde che bisogna ridurre consumi e produzioni per ritrovare un’impronta ecologica sostenibile, come quella della Francia degli anni ’60, ma senza l’obiettivo della crescita. L’obiettivo è di fare molto meglio con lo stesso consumo di risorse naturali, grazie ad una ridistribuzione diversa delle risorse stesse, a una scelta più giudiziosa delle produzioni e ai progressi nell’efficienza ecologica. Per un’utopia concreta. Infine Latouche spiega agli scettici che la decrescita si può a giusto titolo definire “una finzione performativa”, una “utopia concreta”, che non ci sono dogmi e che gli obiettori di crescita non hanno la vocazione ad avere una risposta a tutto. La scommessa della decrescita è un’altra. “Non siamo diventati atei della crescita, degli agnostici del progresso, degli scettici della religione dell’economia, per convertirci in adoratori della dea Natura e trasformarci in grandi sacerdoti del vangelo dell’abbondanza frugale”. Nella pratica vissuta di ciascuna collettività, l’impegno in scelte fatte necessariamente con incertezza metterà in movimento le convinzioni e la fede di ciascuno, senza che si debba truccare la discussione con un dogma imposto fin dall’inizio. L’utopia, come la intende Latouche, non è un mito. Il mito è una proiezione fuori dal reale che permette a professionisti della manipolazione di sviare le legittime aspirazioni di adepti allucinati. L’utopia concreta è la costruzione di un futuro ideale ma comunque possibile, e la scommessa della decrescita è anche una scommessa sulla maturità dei nostri contemporanei, sulla loro capacità di scoprire che c’è un altro mondo dentro quello in cui viviamo, che val la pena di scoprire.

 

Ultimo aggiornamento ( martedì 16 ottobre 2012 )
 
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